21 Lug Senza parole. Senza fiato
La pioggia sferza il corpo, le gocce di pioggia pungono la pelle e non si smette di tremare . Fradicia fin nel midollo da anni o ere di soprusi verbali. Manipolazioni sottili dietro i sorrisi dei convenevoli. Un buongiorno non sai mai cosa riserva, l’umiliazione è sempre dietro l’angolo e con l’esperienza impari che ciò che ferisce non è mai: “hai sbagliato” ciò che taglia è accorgersi che quelle stesse sillabe avvolgono una categoria di me stessa che si svela ma che non mi appartiene. Si vestono di vocali e di consonanti e dentro puzzano come carne putrida che si deforma e si lascia intravedere. “sei una stupida. Che cretina! Sei solo una stronza. Non capisci niente. Mi sfidi? Ti schiaccio. Mi rispondi? Ti picchio. Io decido su di te. Per te. Ciò che vuoi non vale niente. Ieri e sempre. Sei una pessima madre. Non sei capace di amare nemmeno i tuoi figli” e il vomito rotola sulle piastrelle del pavimento sulla pelle che conosce bene quanto profondamente la lama possa continuare a scavare. E la mente si annebbia e vacillo e dubito. Forse hanno ragione. Certo ho le mie responsabilità, certo… Eppure un colpo di coda schianta dentro di me lo sento che si risveglia la mia bestia ferita. Un drago che spalanca le fauci, un ghepardo che ruggisce ferito. No! No, non è vero. Urlo senza voce, ha il sapore salato delle lacrime il mio schianto. Sorda senza più tempo, senza forze, senza voce con le orecchie che fischiano mentre ancora e ancora le parole spurgano putride e insensibili. Sono uno sfogo. Il loro sfogo per la loro vita, le loro frustrazioni. E con tutta la forza che mi resta allontano e respingo quel magma, ma sono sfinita. Confusa, stanca, sconfitta. Una discussione dicono. È solo una discussione, sei sempre esagerata. Sono cose che si dicono.
No. Non sono cose che si dicono.
Distorsioni. Aberrazioni. Forzature. Alterazioni. Deformazioni.
Chi impara a guardare non smette mai di vedere. La trama. Il meccanismo, la filigrana delle vite mi scorre davanti come una pellicola in bianco e nero a velocità doppia. Quasi comico. Quasi mimico. Quasi ironico. Decisamente triste. La trama emerge e non si può smettere di vederla.
Riempire I vuoti con I vuoti fino a sommergere lo spazio tra le persone, a sovraccaricare l’aria, ad asfissiare il movimento e il pensiero. Fino a farlo emergere come un gigante plasmato dal fango della paura a investire le relazioni. I battiti del tempo. Plasmato in anni di parole nutrito col rammarico, con la colpa, la recriminazione, le proiezioni, le aberrazioni dei sogni disillusi dal passaggio delle rughe, delle delusioni, le esperienze. E il fetore annuncia prima ancora che la tempesta si abbatta che il gigante è vivo e maestosamente duttile.
Mi guarda, avvolge, sento le spire accarezzarmi sottilmente dalle caviglie. Un pizzico, quasi una scintilla di elettricità. E sale, sinuoso, il gigante si deforma e le parole diventano ogni volta più dure, eppure consuete. La ripetizione assicura il nutrimento al pensiero. Lo radica, lo concretizza. Gli dà forma e vita.
E non resta spazio. Non resta vita, non resta amore. Resto, io immobile e incredula ma in questo tempo nuovamente concreta e rassicurata da me stessa eppure tremula.
E si ricomincia. Mi accuccio tra le lenzuola avvolta dal buio che mi culla e mi nasconde. Invisibile agli sguardi. Desidero sparire, svanire dimenticare ed essere dimenticata.
E abbracciata. Compresa. Protetta. La lezione sta nella ferita e nel guardare la realtà negli occhi, ma a me stessa resto solo io.
Mario Chiarenza
Postato il 21:29h, 21 LuglioGli angeli della notte non sono solo i mostri di Kubin. E la putredine defluisce anche se lentamente, tanto è densa. Avevo un professore di igiene che diceva: “ I mezzi tecnici per rendere potabile una fogna esistono. Ma non ne vale la pena.”