01 Mag Passaggi in terre oniriche
Equinozio d’autunno.
Sogno.
In palazzi dismessi cammino tra stanze in potenza. Dalle finestre vedo rettangoli di cemento come campi da gioco, e intorno cugine d’un tempo. In palazzi che sono e non sono indosso una camicia nera, infiocchetto il mio collo e mi preparo ad un funerale. Scendo le scale e arrivo di sopra. Altro piano, altri esseri di linea femminile. Cugine, anche loro, che mettono in piega i capelli, definiscono boccoli e indossano vestaglie. Rossa è quella dell’unico uomo in cucina, e tondi anche i suoi capelli. La madre delle cugine, vecchia fondatrice di prole femminile, resta di spalle, veste di nero. Per le scale si tiene un concerto, è musica della tradizione sicula, che si ripiega dopo un po’ in alienante pop senza spirito. Ma le scale, nella loro dimensione di zona di passaggio, sono il luogo del rito. La madre di mia madre era la morta. O meglio, tale era stata creduta e trasferita in quel piano/dimensione-scale. Espira, ma resta viva. E allora chi, se non la nonna, fondatrice della mia carne, poteva officiare il rito funebre? Si dà da fare attorno al tavolo del morto, è un uomo, è mio zio, marito della donna in nero e padre di sei figlie femmine. Ma ho imparato che il “piano” del femminino è complesso, e che fugge all’inganno dell’Uno, perché è corpo che genera corpi, e il suo principio è sempre il due. E allora alla madre della madre si accostò, nel mio sogno, la madre del padre. La cara figura a cui devo metà del mio nome e del mio spirito, che mai conobbi fuori dalla forma di una foto. Mi dice di pregare sant’Anna, con parola o forse canto.
Proprio lei.
La congiunzione delle quattro lettere con cui incarno l’eredità paterna! La santa, che col suo nome tiene insieme me e la nonna, avrebbe preso con sé l’uomo morente. Me ne dispiaccio ma so che è la cosa giusta. Sant’Anna, la madre della madre di Dio. La dea delle partorienti, colei che facilita i “passaggi” difficili, che assiste le donne sterili. La protettrice di artigiani e insegnati, sta all’inizio e alla fine di ogni processo che produce cambiamento. È iscritta nel mio nome, nel passaggio dal padre a me, custodisce il sogno e accompagna via ciò che va lasciato andare. Un modello d’uomo che muore. Un tipo di origine che nasconde il suo debito verso la femmina e la carne. Ma è iscritta nel nome di ogni donna, nella storia ciclica di ciascuna. Mia madre sognò pressoché lo stesso due notti dopo: sognò la madre creduta morta, e la necessità di comunicarlo alla sorella. Che l’ombra sotto cui vegliano la grandi madri si moltiplichi, generando piani di passioni furenti e corpi in rivolta.
Annalisa Vetro
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